lunedì 30 settembre 2013

Lez 3 Lingua Cinese, lunedì 30/09



Le prime testimonianze della scrittura cinese sono incisioni su carapaci di tartarughe e scapole di bovino. Questi oggetti risalgono al 1500 a.C. e venivano usati a scopo divinatorio: erano esposti alle fiamme e in base alle crepe e alle spaccature che si producevano gli indovini vi leggevano il futuro. Chi richiedeva la divinazione incideva delle domande sull’oggetto e spesso se ne incidevano poi le risposte dell’oracolo:


 

 I caratteri di allora erano molto diversi dal cinese che conosciamo:


1. Erano incisi, come abbiamo detto, e non tracciati con un pennello.

2. I caratteri non hanno dimensione standard, ma ve ne sono di più grandi e di più piccoli.

3. Sono pittogrammi, rappresentano cioè graficamente l’oggetto che vogliono significare.

 



Intorno al VIII- IX secolo, invece, si comincia a fondere oggetti in bronzo e si scrive su di essi. Questi bronzi sono ovviamente oggetti preziosi, non di certo alla portata di tutti, e venivano prodotti in occasioni rituali, per celebrare la vittoria di una guerra o un’ascesa al trono o dei banchetti importanti. La maggior parte di essi sono stati rinvenuti all’interno di tombe. I caratteri si fanno più regolari, ma sono ancora pittografici e perciò semplici.
La scrittura cinese come la conosciamo noi si forma nel I secolo a.C.
A quell’epoca regnava il primo imperatore che riuscì a unificare la Cina: Qin Shi Huang, famoso per il suo enorme esercito di guerrieri in terracotta. Qin Shi Huang era un sovrano molto crudele e sanguinario, tuttavia era animato, per certi versi, da ideali molto moderni, tanto che si fece promotore di numerose riforme tese a modernizzare il paese, come per esempio l’unificazione delle monete, degli scarti dei carri (essenziale questo per la mobilità) e delle varie sezioni della Grande Muraglia. Ciò che più ci interessa però è che Qin Shi Huang stabilì uno standard di scrittura uniformando la distanza fra i caratteri e la loro dimensione.
L’attenzione per la lingua si consoliderà infine con la dinastia Han, durante la quale verrà compilato il primo grande dizionario etimologico dei caratteri cinesi, che distingue i loro principi di formazione in sei categorie, tuttora tenute in gran conto dai linguisti.
Questo fondamentale dizionario si chiama Shuōwén Jiězì e risale al I secolo a.C.; vediamo le sei categorie di caratteri in esso citate.

IDEOGRAMMI e PITTOGRAMMI
Nonostante tutti parlino di ideogrammi, riferendosi ai caratteri cinesi, i veri pittogrammi sono molto pochi, appena il 3-4% dei caratteri cinesi. Altrettanti sono gli ideogrammi. Pittogrammi e ideogrammi non costituiscono quindi nemmeno il 10% delle migliaia di caratteri esistanti. Essi rappresentano graficamente un concetto astratto, nel caso dei primi (da qui ideo-grammi), e oggetti concreti, nel caso dei secondi (sono cioè rappresentazioni pittoriche).

Esempi:  (shàng) significa "sopra", mentre (xià) significa "sotto". e sono due ideogrammi, rappresentano infatti il sopra e il sotto ponendo un trattino al di sopra o al di sotto del tratto orizzontale:


 
Esempi di pittogrammi sono invece rén, "uomo, persona" che fa pensare a due gambe,
huǒ, "fuoco", che ricorda effettivamente un fuocherello con tanto di scintille, shān, "montagna" che riporta tre cime. Ci va un po' di fantasia ma tant'è: in realtà molti pittogrammi perdono le loro caratteristiche pittografiche in seguito alla semplificazione dei caratteri! Basti pensare a chē, "carro" che in cinese tradizionale è (che se guardato dalla giusta prospettiva, immaginandosi dall'alto, sempre proprio un carro con tanto di ruote). Proprio per quest'ultima questione molti pensano che dopo la semplificazione ricordare i caratteri sia diventato più difficile. Noi invece ringraziamo per la semplificazione, direi, e andiamo avanti.


COMPOSTI LOGICI e FONETICI
I composti sono caratteri appunto composti, cioè formati da più caratteri semplici. Essi possono unificare quindi più pittogrammi a partire da regole logiche, nel primo caso, o fonetiche, nel secondo. Partiamo dai composti logici.
Il primo esempio richiama quanto già detto nel post Lin Fan di questo blog. Tutte le strade portano a Roma.

"Albero" si dice mù:


Se aggiungo un albero a un albero, ottengo lín, cioè "foresta, bosco": 



 Se poi aggiungo ancora un altro albero, ottengo sēn, cioè "boscoso":



Stessa cosa con "fuoco", il già visto huǒ:



 Se metto un fuoco accanto a un altro fuoco ottengo yán, "bollente, bruciante":


Se poi invece di accostare due volte lo stesso carattere unisco i caratteri per relazione, posso ottenere
míng, cioè "luminoso", che si ottiene accostando i caratteri di "sole" (rì) e "luna" (yuè): 


Oppure il famoso ān "pace tranquillità", composto da una donna (nǚ) sotto un tetto.


Unendo più caratteri semplici si sono quindi creati caratteri più complessi atti a indicare concetti più complessi. 

Ci sono poi anche altri composti, quelli fonetici: essi rappresentano il 60-70% dei caratteri cinesi.

Vediamo questo carattere: yáng, "pecora". C'è un'altra parola che si pronuncia yáng e significa oceano. Quindi cosa faccio? Uso il carattere , ma esclusivamente per il suo suono, non per il suo significato, e vi accosto un'altro carattere che specifichi il campo semantico della mia nuova parola, in questo caso "oceano".
Per scrivere "oceano" scrivo dunque: 


Dove nella parte sinistra ho ciò che determina il campo semantico e che si chiama quindi chiave semantica o radicale, in questo caso il radicale dell'acqua; nella parte destra ho l'indicatore fonetico.


Vediamo un altro esempio. Questi quattro caratteri:


          

Hanno lo stesso indicatore fonetico e quattro differenti radicali. Concludiamo quindi che probabilmente hanno significati diversi, ma uguale pronuncia, tono a parte.
(N.B. Il probabilmente della frase precedente è dovuto al fatto che come sappiamo la lingua scritta e la lingua parlata hanno percorso strade diverse nella storia della Cina, perciò è possibile che a partire dal IV-V sec. a.C. la pronuncia di un carattere sia cambiata. Tuttavia è abbastanza ragionevole partire dall'ipotesi che abbiamo esposto e cioè che tali pronunce, almeno in parte si siano mantenute).
Relativamente alle chiavi semantiche, esse sono poco più di duecento, anche se il numero varia in base al dizionario.
Un altro radicale importante è kǒu che significa bocca. Il radicale compone tutte le onomatopee e tutte le particelle modali che sono legate proprio all'uso del linguaggio!

PRESTITI FONETICI e PSEUDOSINONIMI

Queste ultime due categorie sono un po' confuse e dunque controverse. 
Nel primo caso ho caratteri con un significato, come per esempio l'antico carattere che indicava il frumento e che si pronunciava lái, e che nel corso del tempo prendono a indicare anche un altro significato con lo stesso suono, come venire, e poi perdono il primo per mantenere solo il secondo. Ora venire si dice lái cioè e frumento è espresso da un altro carattere.

Gli pseudosinonimi sono invece caratteri semplici che uso per significati diversi che siano però della stessa area semantica. Per esempio jiàn, vedere, si scrive in caratteri tradizionali
, che deriva dal carattere mù, cioè occhio. All'occhio metto delle zampe e mi immagino un occhio che va lontano, che va a vedere.


Fine della lezione 

No, fine della lezione niente, ieri ho pubblicato la lezione fin qui senza accorgermi che se avessi voltato pagina nel quaderno avrei trovato altro! L'età mi fa perdere colpi.

Quindi, dopo aver parlato dei caratteri, abbiamo ripreso con le interrogative e aggiunto un carattere a una delle frasi di ieri:

你们写汉子吗?
Nǐmen  xiě hànzì ma?

C'è qualcosa di nuovo ossia il secondo carattere men, che è un suffisso di pluralità.
è un composto fonetico ed è formato dal radicale della persona e dall'indicatore fonetico mén, che significa "porta" ma in questo caso è usato per il suo suono. Proprio perché il radicale indica l'uomo, il suffisso si usa esclusivamente con nomi di persona.
Attenzione: se vogliamo esprimere il plurale, è obbligatorio esclusivamente con i pronomi personali, mentre non lo è nel caso degli altri sostantivi. Per esempio: 学生 significa studente, ma anche studenti;  invece significa "tu" e non può significare "voi" a meno che non si aggiunga il nostro .
 Quindi, cosa cambia fra 学生 e 学生们? Nulla, però nel secondo caso sono sicura che sia plurale, nel primo no.

Ultima cosa, anticipiamo il discorso del giorno dopo sulle interrogative: oltre a formare l'interrogativa mettendo la particella modale
al fondo della frase, posso ripetere il verbo in forma negativa:

你们写不写汉字?

Non metto più il  e ottengo un'interrogativa per scelta esclusiva.

Fine della lezione!
(questa volta davvero)

sabato 28 settembre 2013

Lez. 2 Lingua Cinese, mercoledì 25/09


La scrittura dei caratteri segue regole fisse che stabiliscono l’ordine dei tratti, come per esempio che si procede dall’alto verso il basso, da sinistra verso destra, che se c’è una cornice la si scrive prima del suo contenuto, ma la si chiude dopo e simili. Tuttavia alcuni caratteri presentano un ordine dei tratti particolare perché quest’ordine è stato stabilito attraverso i secoli dalle scuole di calligrafia in base a principi di comodità ed economia. Per esempio la scrittura del carattere (wǒ), che significa “io”, si conclude con il punto in alto a destra, che essendo il tratto più alto dovrebbe essere scritto per primo e invece viene scritto per ultimo.

Cominciamo a scrivere i primi caratteri!

La prima frase che scriviamo significa “Io studio cinese” ed è composta da cinque caratteri:

我学习汉语
pinyin: Wǒ xuèxì hànyǔ

La punteggiatura, nel cinese classico, non esisteva: è stata importata dalle lingue occidentali, nello specifico dall’inglese e occupa un quadrato, esattamente come un carattere. L’ordine di scrittura inoltre è cambiato negli ultimi anni: ora il cinese si scrive come le lingue occidentali, da sinistra a destra in orizzontale, mentre il cinese classico si scriveva in verticale partendo da sinistra e procedendo verso destra.

La nostra frase:

wǒ significa “io” ed è composto da 7 tratti.

xuéxí significa “studiare” ed è composto da due caratteri, xué, che significa “studiare, imparare” e xí, che significa “esercitarsi, praticare”.

汉语 hànyǔ significa “lingua cinese” ed è composto dal carattere hàn che significa “cinese”  (e indica anche la nazionalità cinese, infatti il gruppo etnico numericamente maggiore in Cina è quello degli Hàn, ma qui il discorso sarebbe mooolto lungo e lo rimandiamo) e dal carattere yǔ che significa lingua (lingua nel senso di linguaggio, non la parte anatomica).

Nella lingua cinese l’ordine dei costituenti della frase è fisso.  Da questa frase possiamo dedurre già due regole:

1. La lingua cinese è una lingua SVO, cioè a struttura

Soggetto – Verbo – Oggetto

Proprio come l’italiano.

2. In cinese ciò che determina precede sempre ciò che viene determinato, per esempio nel caso degli aggettivi, essi precedono il sostantivo di cui sono aggettivi. Vediamo l’ultima parola della nostra frase:

汉语 (hànyǔ)

Traduzione letterale: “cinese lingua”, ossia, in italiano, lingua cinese
(in italiano noi facciamo il contrario - anche se la struttura logica italiana è più flessibile)

Per quel che riguarda l’ordine dei tratti rimando al testo Dialogare in cinese, che al fondo di ogni unità, fino a un certo capitolo, presenta l’ordine dei tratti di ogni carattere citato. OPPURE riporto con entusiasmo il suggerimento della prof.ssa  Leonesi che lunedì ha citato il sito http://www.nciku.com/.  E’ veramente bellissimo e offre l’animazione della scrittura di ogni carattere.

Seconda frase:

他写汉子
Pinyin: Tā xiě hànzì

In questo caso abbiamo un altro pronome personale:

tā significa lui (occhio che la trascrizione fonetica “tā” può riferisri sia a “lui” sia a “lei”, ma i due pronomi in cinese sono rappresentati da caratteri diversi, anche se si pronunciano e quindi traslitterano nello stesso modo; è “lui”, mentre “lei” è ).

xiě significa “scrivere”.

汉字 hànzì significa “caratteri cinesi” ed è formato dal carattere hàn che già conosciamo e dal carattere zì che significa  “parola, carattere”.

Terza frase:

他是毛老
Pinyin: Tā shì Máo lǎoshī

tā lo conosciamo.

shì è il verbo essere e in questo caso significa “è”.

Máo è un nome proprio, un cognome, lo stesso di Mao Zedong. In Cina ci sono soltanto un centinaio di caratteri che sono usati come cognomi, ma essi, proprio perchè sono normali caratteri cinesi hanno anche un loro proprio significato, come in questo caso, dove mào letteralmente significa “piuma”. Non ci sono ovviamente maiuscole né indicatori, perciò capiamo che mào in questo caso è un cognome dal contesto.

lǎoshī significa “insegnante” ed è composto da lǎo, che significa “vecchio, anziano” e da che un tempo era usato per dire insegnare autonomamente e che invece ne cinese classico è sempre unito a .

La quarta frase è una variazione della terza:

他是毛老?
Pinyin: Tā shì Máo lǎoshī ma?

Il significato di questa frase è il medesimo di prima, ma cambia la modalità. Questa non è un'affermativa, ma un'interrogativa. In cinese, poichè i verbi non hanno i modi, la modalità della frase si esprime tramite appositi caratteri che prendono il nome di particelle modali. Esse sono caratteri atoni e privi di significato, proprio come ma, che è particella modale interrogativa.
Come rispondo a questa domanda? Ripetendo il verbo, in forma positiva o negativa, cioè anteponendo al verbo un'avverbio di negazione, in questo caso bù.

Perciò:

他是毛老?
Tā shì Máo lǎoshī ma?

/
 Shì / Bù shì.

 Il soggetto si può sottintendere ogni volta il contesto sia chiaro, come in questo caso.
Ora andiamo a riprendere la nostra prima frase, mettiamola in seconda persona e in modalità interrogativa e rispondiamo in modo completo:
  
你学习汉语吗?
Nǐ xuèxì hànyǔ ma?

我不学习汉语, 习英语
Wǒ bù xuèxì hànyǔ, xuèxì yīngyǔ.


Dove 英语 yīngyǔ significa inglese.
Il carattere yīng indica l'inglese e l'Inghilterra per assonanza con "English", non per il significato ( significa "eroe").


Fine della lezione!


venerdì 27 settembre 2013

Lez. 1 Lingua Cinese, martedì 24/09

Riporto ordinatamente i miei appunti del corso di Lingua Cinese I, magari a qualcuno servono, a me di certo serve riscriverli e rielaborarli.

Lunedì 23 si è parlato esclusivamente di questioni logistiche (programmi, esami, testi, dizionari ecc), cosicchè arriviamo a martedì 24, giorno in cui si comincia davvero a parlare della lingua cinese.


La lingua studiata al corso sarà il cinese mandarino, una lingua parlata da moltissime persone non soltanto nella Cina propriamente detta. Il mandarino è la lingua ufficiale della Repubblica Popolare Cinese, ma è anche una delle lingue ufficiali di Taiwan, Hong Kong e Singapore.
In Cina esistono moltissimi dialetti che si differenziano principalmente a livello fonetico (pronuncia); per esempio Hong Kong si scrive 香港: la pronuncia occidentale "Hong Kong" non è mandarina, ma deriva da quella cantonese: Hēunggóng. In mandarino, quegli stessi due caratteri si pronunciano Xiānggǎng.
Il cantonese è un dialetto importante poichè appartiene a una zona molto forte a livello economico, quella a sud, dove si trova anche Hong Kong appunto; il mandarino è una lingua che deriva invece dai dialetti del nord, in particolare da quello di Pechino, ed è una lingua molto giovane, che risale alle metà del Novecento.

Cosa c'era prima?
L'esistenza di un sistema linguistico in Cina è attestata già dal II millennio a.C. Da quell'epoca la lingua si è evoluta con il passare dei secoli, fino ad arrivare al IV-V secolo a.C., periodo a cui risalgono alcuni importantissimi testi di filosofia cinese, come ad esempio il Tao Te Ching. Con questi testi si è creato un vero e proprio standard linguistico scritto, a cui ci si riferisce parlando di cinese classico o wenyan. Il wenyan si è mantenuto fino al Novecento, ma ovviamente mentre la lingua scritta restava stabile, quella parlata ha continuato ad evolversi naturalmente, fino a distaccarsi in modo notevole dalla lingua letteraria. Questo fenomeno, che è presente tutto sommato anche nelle nostre lingue europee, nel caso del cinese è più pronunciato, poichè i caratteri scritti cinesi non danno indicazioni sulla pronuncia, che si è quindi diversificata a seconda delle aree geografiche.

La costanza della lingua scritta ha tuttavia permesso a un paese enorme come la Cina una grande unità culturale, poichè se è vero che parlando due cinesi di province diverse potevano non capirsi, scrivendo la comunicazione si manteneva possibile e questo riguarda non soltanto la Cina, ma anche molti paesi limitrofi come il Giappone o la Corea, che adottarono il sistema linguistico della Cina, all'epoca più evoluta culturalmente.

Il wenyan costituiva quindi lo standard del cinese scritto e veniva utilizzato in letteratura, ma anche in ogni situazione ufficiale. Già durante il periodo Han (II sec. a.C.-II se. d.C.), tuttavia, qualcosa inizia a cambiare: a questo periodo risalgono già le testimonianze della presenza di due lingue diverse, una letteraria, il weiyan appunto, e una colloquiale, il baihua, usata anche in campo scritto in realtà, ma per generi più umili, come il racconto fantastico, la parabola, l'aneddoto. Il buddismo, per esempio, usò moltissimo questa nuova lingua per comunicare con il popolo che ovviamente non conosceva il wenyan.
Accanto al weiyan troviamo quindi il baihua, che diventerà poi la base per una lingua unificata comune e un'altra lingua, utilizzata invece dai funzionari, che avevano anch'essi la necessità di comunicare fra loro con facilità: il guanhua.

Si arriva quindi all'Ottocento in questa condizione: i testi letterari sono scritti in weiyan, i testi volgari in baihua, si parlano mille dialetti fra la popolazione e il guanhua fra i funzionari.
Una situazione piuttosto caotica insomma, in cui:
1. Manca una lingua veramente comune.
2. Larga parte della popolazione è analfabeta.

Questi due problemi diventeranno urgenti nel momento in cui la Cina comincia a confrontarsi con l'Occidente, che nell'Ottocento entra nella fase del colonialismo. In Cina giunsero moltissime delegazioni occidentali, ma l'imperatore, che secondo la tradizione era scelto dal Cielo, non ritenne concepibile abbassarsi al livello di un qualsiasi monarca europeo. Da questo deriva tutta una storia di gretto colonialismo e sfruttamento delle risorse, prima fra tutte l'oppio, che scatenò le famose guerre dell'oppio, da cui la Cina se ne uscì tramortita e calpestata (è in questa occasione che Hong Kong - come molti altri porti - passa agli inglesi).

Si apre a questo punto, fra gli intellettuali cinesi, un dibattito su come salvare la Cina dal declino a cui sta andando incontro e nasce la questione della lingua: uno stato che sia davvero moderno non può non avere una lingua comune e non deve avere un tasso di analfabetismo così alto.
Che fare? Relativamente al primo problema, vengono fatti vari tentativi ed esposte varie idee, ma alla fine, negli anni Cinquanta, prevale la soluzione di prendere il dialetto del nord (già di per sè parlato da moltissime persone) ed estenderlo su scala nazionale. Il mandarino nasce quindi dall'unione della struttura grammaticale del baihua e la pronuncia del guanhua, che usa a sua volta lo standard fonetico del dialetto della capitale, Pechino.
Il secondo dibattito, che si conclude anch'esso negli anni Cinquanta (poichè il 1 ottobre 1949 nasce la Repubblica Popolare Cinese!) riguarda la semplificazione dei caratteri, l'unica via per facilitare l'apprendimento della lingua e favorire quindi l'alfabetizzazione del popolo.
Grazie a queste due iniziative, il cinese mandarino comincia a diffondersi, grazie anche a numerosi sforzi dello stato, che diffonde la lingua attraverso la radio e la televisione e forma una classe di insegnanti in grado di formare le nuove genrazioni.

Il mandarino è fatto!

Oa vediamone le caratteristiche. Il mandarino è:

A. Una lingua ISOLANTE.

Il mandarino non presenta declinazioni nè coniugazioni. Una parola, come per esempio  

工作 (gōngzuò)

Può significare sia "lavoro" che "lavorare", "lavoravo", "lavorai" ecc ecc. Il significato perciò si comprende, di volta in volta, solo in base al contesto
Questo succede perchè il cinese è una lingua molto economica. Se scrivo a inizio frase "ieri" non ho poi bisogno di esprimere il tempo passato dell'azione tramite mille verbi tutti declinati al passato: ho già la parola "ieri" a indicare il tempo di narrazione.  Il cinese non ripete le informazioni già espresse!

B. Una lingua MORFEMICA.

Questo significa che ogni sillaba è un morfema: ogni sillaba cioè è dotata di un valore semantico. Ogni sillaba è insomma una parola!
Il cinese classico era prettamente monosillabico, quindi il 90% delle parole erano composte da un solo carattere (una sillaba); il cinese moderno invece presenta per la maggioranza dei casi parole bisillabiche. Ma ciononostante la sillaba continua a mantenere un significato autonomo, anche se viene combinata per formare altre parole.

C. Una lingua TONALE.

E questa è la caratteristica di tutte le lingue che fanno parte del ceppo linguistico sino-tibetano. Il tono è l'altezza del suono prodotto per vocalizzare una sillaba. In cinese esistono quattro toni e a seconda del tono una stessa sillaba ha significati diversi.
I toni non posso scriverli, ma qui sono spiegati bene:



Fine della lezione!



giovedì 26 settembre 2013

Lin Fan

Grazie a youtube e al wushu scopro di amare follemente i cinesi e nello specifico una di loro: Lin Fan.
Lin Fan si allena (o almeno si allenava o almeno credo!) a Fuzhou, nel Fujian. Sogno di visitare quell'università e perché no, incontrarla... Non escludo di farcela prima o poi!


Lin Fan si scrive 林凡 (lín fán). Il primo carattere, il cognome, significa "foresta", il secondo è un aggettivo e vuol dire "comune", "ordinario". Del nome di Lin Fan soltanto il primo carattere mi colpì, perchè "lín" sembrava proprio un piccolo boschetto, formato da due alberi uno vicino all'altro:



Scoprii più avanti che "albero" si scrive mù:



E "boschivo, boscoso", sēn:


Un albero, due alberi, tre alberi. Cinese!

Meimei

Arriviamo ai tempi moderni.
Tre anni fa, stanca di prendermi botte, mollo il kung fu tradizionale e passo al wushu moderno.
Ed ecco che, arrivata nella nuova scuola, imparo il significato di altri due caratteri:

 小 ("xiǎo", cioè "piccolo") e 大 ("dà", cioè "grande").

Xiao e Da sono i nomi dei due allenatori dell'Accademia Jingwu di Torino. Uno è un nanerottolo e l'altro uno spilungone. Dopo poco tempo ricevo anche io un soprannome che rispecchia la mia persona: 妹妹 ("mèimèi", cioè "sorellina"). Sono infatti l'unica ragazza e sono molto più piccola di loro.
Aggiungo quindi un quinto carattere alla mia lista e un legame con la Cina che si rafforzerà ogni giorno di più: il wushu.

Il Tao

Il secondo ideogramma che ho imparato a leggere è stato questo: 道, cioè "dào" (in pinyin), cioè mille significati, ma il più comune e pertinente in questo campo credo sia Via. C'è chi, come me, preferisce però parlare di Tao, senza bisogno di tradurlo, perché "tradurre è tradire", soprattutto in casi come questi, dove in un carattere è condensato un enorme concetto filosofico e la filosofia è un campo in cui voler spiegare o chiarire tutto è un viziaccio da perdere (parola di filosofa!).

Il carattere, così come il concetto, del Tao l'ho trovato nel Tao Te Ching. Non l'ho letto tutto nè tantomeno studiato/capito (va beh che "capire" non è nemmeno un bel modo di porre la faccenda), però all'epoca fui letteralmente folgorata dalla prima frase del primo capitolo, che secondo l'edizione Adelphi recita:

La Via veramente Via non è una Via costante

E che invece in cinese suona (o appare):

道可道, 非常道
(dào kè dào fēi cháng dào)

Dal basso della più completa ignoranza memorizzai a macchinetta questa frase e non la dimenticai più, insieme alla seguente, "名可名, 非常名", cioè "míng kè míng fēi cháng míng", ossia "I Termini veramente Termini non sono Termini costanti".

Lì ricevetti l'illuminazione: la via della perfezione - intesa come "perfetta riuscita di ogni progetto" - mi era preclusa (a livello ontologico/esistenziale). 

Non sto scherzando, sono sempre stata una perfezionista tendente alla depressione (poichè quando vuoi una cosa e non la ottieni, non puoi saltare di gioia), ma leggendo le prima due righe dei Tao capii che la ricerca di quel tipo di perfezione (una perfezione molto occidentale, detto en passaint) non era una ricerca sensata al di là del suo esito.

Meditai per anni di farmi tatuare quella frase da qualche parte: se all'epoca fossi stata ricca, ora ce l'avrei addosso.


Proprio non vorrei, però...

...però devo citare anche lui, oltre ai Laolingling: Bruce Lee, che non chiamerò Bruce in segno di amicizia come gli scoppiati con cui ho avuto a che fare nel passato recente e che purtroppo mi capitano ancora fra i piedi.



Bruce Lee l'ho conosciuto grazie alle arti marziali, che ho cominciato a praticare nel 2009 ( mi sembra... o forse era il 2008, chi se ne ricorda più). Fra stage, campionati, trofei vari e altri incontri ravvicinati del terzo tipo, Bruce Lee era sempre presente. Bruce di qua e Bruce di là.
Nulla da dire contro Bruce Lee, a parte il fatto che... no, scusate, nulla da dire su Bruce Lee, ma i suoi seguaci sono di norma dei pazzi fanatici da evitare a ogni costo. Comunque, bene o male che sia stato, Bruce Lee l'ho incontrato, l'ho visto, l'ho letto. Non mi ha segnato particolarmente, ma alcuni dei suoi libri hanno cominciato a darmi un'idea della filosofia cinese, perciò alla fine un grazie a Bruce (Lee) ci sta.
Bruce Lee si chiamava 李小龍 (Lǐ Xiǎolóng) e grazie a questo e al tatuaggio di una persona a me molto vicina all'epoca ho imparato il significato del mio primo ideogramma: 龍 cioè "lóng" cioè "drago".